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Gente di caruggi  -  Ninettu du gattussu

(Ninetto Rivano)

 

 

 

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La sua passione per il teatro fu giudicata variamente: finché egli visse, molti la ritenevano una manìa; alla sua morte, ci si accorse che Carloforte aveva perso un artista.

Effettivamente un pezzo della nostra storia teatrale è stata conservata grazie all’amore artistico di Ninettu du gattussu. Era questo il diminutivo patronimico di Antonio Rivano, che lo aveva ereditato dalla precedente generazione.

 

Nei primi decenni del secolo, al teatro De Muro (poi Cavallera) e alla Mutua, la colonna sonora dei films era data dalle musiche eseguite dal complessino di strumenti a plettro, diretto da U Rinaldo che suonava il pianoforte, sotto lo schermo.

E il pubblico accorreva, perché non c’era altro diversivo; come accorreva numeroso al teatro. In quel periodo, Ninettu si rivelò regista emergente di tante rappresentazioni teatrali. Per questo era riuscito a mettere insieme un raro guardaroba di costumi d’epoca o almeno somiglianti.

Quando la rappresentazione richiedeva un costume esotico, nessun problema: Ninettu scomponeva due o tre abiti; e dai diversi pezzi ricavava il costume appropriato. Era come un abile prestigiatore che, da diversi pezzettini di stoffa grezza, compone la bandiera tricolore.

 

Solitamente, nei piccoli centri, l’unica attività filodrammatica nasceva e moriva nell’oratorio parrocchiale. U teotru du Ninettu, invece, ha varcato il canale di S. Pietro per replicare le rappresentazioni anche a Cagliari; che era realmente la prima rappresentazione; giacché quella du paize era sempre la prova generale.

Gli effetti scenici erano rudimentali e affidati, dietro le quinte, alle braccia di volenterosi collaboratori. I quali, certo senza volerlo, finivano per fare manesi.

Ne ricordiamo uno su tutti: nel primo dopoguerra, non si aveva grande disponibilità di mezzi per allestire un impianto elettrico decente.

Durante uno spettacolo, allestito veramente per passione, i fili elettrici, collegati a riassunto, procurarono un corto circuito. Il pubblico protesta: Eûhhhh! Si ripara e si riprende a recitare. Dopo un pò, altro corto circuito e altra protesta. Si riparte. Terza interruzione e terza protesta del pubblico, con mormorio urlato.

L’attore Ninetto Pastorelli entra in scena e dice: Cun in riô ch’ai pagàu, ve femu anche i feûghi d’artifissiu! Ma cuss’uai de ciü?. Risata collettiva e lungo applauso.

 

Questo era l’ambiente umano in cui Ninettu du gattussu esprimeva la sua arte di regista. Anche sotto la sua direzione non sono mancati gli imprevisti del mestiere.

Vedi durante la rappresentazione di Mammoletta: u galante (poi marito nella vita, Giûmin) riproduceva il ritratto della dolce promessa sposa in un quadro, naturalmente non visibile al pubblico. Entra il brillante (Aldo Luxoro), il quale, guardando il capolavoro del quadro, declama: Ma che bella ragazza!... che bei colori!...

Poi, improvvisamente, va a soggetto: afferra il quadro dal cavalletto, lo mostra al pubblico e dice: Macché mammoletta; questo è un mamma nu n’eûggiu! L’impegno artistico dell’aspirante fidanzato-pittore svanisce sepolto dalle risate del pubblico; compreso il prefetto di Cagliari (occasionalmente a Carloforte), in prima fila.

 

A Ninetto si deve anche la ricomposizione del ballo tabarkino nel costume e nelle figure della danza. Lui solo riusciva a mettere insieme le coppie affiatate. L’esibizione fu portata anche a Genova, dove riscosse meritati successi.

 

La tradizione filodrammatica popolare e il ballo tabarkino continuano la loro attività, ma hanno perso d’entusiasmo (almeno in grande quantità) con la scomparsa del maestro Ninettu. In verità altri gruppi sono sorti e si danno da fare saltuariamente. Ma è diverso lo spirito. U teotru du Ninettu era tutt’altra cosa.

 

 

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Testi estratti da "GENTE DI CARRUGGI" e da "GENTE DI CARUGGI 2" entrambi di Daniele Agus

Alcune immagini sono prelevate da "CARLOFORTE, ISOLA DI SAN PIETRO" di Antonio Torchia

 

 

 

 

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