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Gente di caruggi  -  Covacivich

(Giacomo Covacivich)

 

 

 

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Esempio emblematico di carlofortino non residente. Sotto questa identificazione sono compresi i tabarkini doc che, per motivi di professione, devono vivere fuori comune. La maggior parte risiedono a Cagliari e dintorni. Ma, in genere, trascorrono in tu schêuggiu il fine settimana e, assolutamente, tutte le feste comandate.

 

U Giacumin Covacivich non è stato né il primo né l’ultimo; ma certo, uno dei più popolari, per le mete sociali cui era arrivato; l’ultima: assessore regionale al turismo, negli anni cinquanta.

Il suo carattere battagliero si era forgiato alla scuola di don Michele Torre, il vivace prete genovese che ha guidato la parrocchia dal 1912 al 1922. Ma le convinzioni religiose du Giacumin affondano le radici nella sua famiglia: che insieme ai Bosnich e ai Peruscina, proveniva dalla Jugoslavia, esattamente da Dubrovnik (oggi Ragusa), di Dalmazia nel 1807.

 

IL babbo, Angiulin, era uno di quei marinai rudi ma sinceri, timorati di Dio, che diceva pane al pane e vino al vino. Quando le cose non andavano come sperava, tirava fuori l’imprecazione adatta alla circostanza. Sì, perché lui aveva diviso i santi secondo una sua categoria (tipo sere A e serie B, ecc.); e ogni categoria aveva l’imprecazione che si meritava (di cui, più che a Dio, doveva rendere conto alla moglie, quando rincasava e raccontava il fatto).

Giacumin non aveva ereditato l’abitudine all’imprecazione; ma la tenacia al lavoro, sì. Agli inizi del secolo scorso, ben pochi carlofortini potevano permettersi di continuare gli studi oltre la sesta elementare. U Covacivich era uno dei pochi.

 

All’età di diciassette anni si trasferisce a Cagliari, dove trova pane, amore e politica: si impiega presso la Banca Commerciale Italiana; si sposa con Maria Parodo e si distingue subito tra i militanti del partito popolare (democratico).

Nelle battaglie politiche del dopoguerra Giacumin era sempre in prima linea, soprattutto sul fronte del Sulcis. Lo si ricorda impegnato in estenuanti comizi, per i quali madre natura gli aveva fatto dono di una forbita eloquenza e di una voce potente (che faceva anche a meno dell’altoparlante).

Era il tempo in cui i migliori oratori si sfidavano in contraddittorio pubblico. Giacumin accettava sempre il confronto delle idee con gli avversari. E nascevano quei duelli in cui i contendenti si affrontavano a suon di argomenti politici e, soprattutto, di battute spiritose. E il pubblico andava ad ascoltare non per convinzione politica (ognuno aveva già la sua e non ci rinunciava), ma per divertirsi.

Molti uditori, per divertirsi meglio, si portavano a carrega d’en cà; e si giravano, da una parte e dall’altra, per ascoltare or l’uno or l’altro dei contendenti. Poi, tornando a casa, la tipica vecchietta commentava:

  -  U Giacumin u l’ha parlau ben!

  -  Ma cuss’u l’ha dittu?

  -  Eh, corpu de balla: u l’ha parlau ben!...

 

Nel 1961, aveva presieduto il comitato delle celebrazioni per la consacrazione episcopale del parroco don Mario. I cittadini di Tempio (soprattutto i preti) chiedevano informazioni sul nuovo vescovo, per prepararsi psicologicamente alla sua venuta. A uno di quelli che contavano (e sapevano contare), Covacivich così descrive don Mario, più amico che parroco:

“Stando tanti anni a Carloforte, ha imparato l’arte del pescatore. Il quale, quando si accorge che il pesce ha abboccato, non tira subito la lenza; anzi la fila di più. Mentre il pesce si dibatte, il pescatore fila sempre lenza. Quando il pesce non si dimena più, il pescatore tira la lenza; così prende il pesce più facilmente”.

Giacumin non avrebbe potuto descrivere don Mario in modo più eloquente.

 

Ma l’opera in cui Giacomo Covacivich ha perpetuato il suo nome è la Casa dell’Amicizia. A Carloforte, la media della vita è lunga: lo dimostra il numero abbondante di pensionati. E tante persone anziane sarebbero destinate a vivere sole. La Casa dell’Amicizia offre un aiuto (se non una soluzione perfetta al problema). Gli ospiti trovano in essa un ambiente di famiglia, più che un ricovero (di cui non ha neppure l’aspetto). La bella casa è una delle migliori di quelle esistenti nella zona.

In essa U Giacumin ha profuso il meglio di se stesso per la sua Carloforte.

 

 

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Testi estratti da "GENTE DI CARRUGGI" e da "GENTE DI CARUGGI 2" entrambi di Daniele Agus

Alcune immagini sono prelevate da "CARLOFORTE, ISOLA DI SAN PIETRO" di Antonio Torchia

 

 

 

 

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