
> Mi ricordo di ...

|

|
Gente di caruggi -
Meloca
(Giannino Baghino)
|

|
Appoggia il puntatore del mouse sulla parola o frase in
dialetto per visualizzarne la traduzione in italiano

Giannino non
era gemello con la sorella Fanny. Ma i due sono sempre vissuti
come vasi intercomunicanti, per mezzo di un invisibile cordone
ombelicale.
La dinastia
paterna non aveva bisogno di tante specificazioni: per
individuare un componente, bastava dire
quellu du Meloca;
e subito compariva la figura virtuale del nonno Melica,
autentico lupo di mare, di quelli di una volta.
L’arte del
navigare lui l’aveva appresa non sui libri, ma sulle
imbarcazioni. E, senza andare a scuola, era arrivato al grado di nostromo.
Un giorno,
trovandosi sul ponte di comando, in compagnia dei colleghi
ufficiali, anche lui ha ordinato al
piccolo di camera
(marinaio addetto al servizio)
“caffè e gazzetta”, come
facevano gli altri. Dopo un po’, arriva il giovane che
consegna le ordinazioni.
Il nostromo sorseggia il buon caffè
con la signorilità del suo grado; poi apre il giornale e dà
uno sguardo. Il comandante, che gli sta vicino, gli dà una
vile gomitata e gli sussurra:
- Amia che ti
l’è a riversa.
- Ebè
– fa il marinaio senza scomporsi –
a leze da drita en buìn
tûtti.
Questi era
Melica. Il nipote Giannino era
aŝpertu cumme so bugrande.
Ma le più grandi lezioni di vita, le aveva apprese nei dieci
anni trascorsi in Africa orientale: sette anni come emigrato,
tre come prigioniero di guerra.
Nel 1936,
l’intraprendente parroco, don Gabriele Pagani, riesce a far
iscrivere 250 carlofortini tra i lavoratori destinati a
emigrare in Somalia. Giannino è uno di essi.
Partito il 13
dicembre 1936, non aveva mai dato sue notizie: un po’ perché
non poteva; un po’ perché lui era fatto così. In casa, ormai,
cominciavano a rassegnarsi. C’era anche chi proponeva di far
domanda al Ministero della guerra per la dichiarazione di
morte presunta.
La sera del
13 dicembre 1946, Giannino comparve improvvisamente alla porta
di casa. S. Lucia lo aveva illuminato.
Per vivere,
u néu du
Meloca si specializza alla tonnara di Portopaglia: aggraffatore delle latte della zona detta California (perché
le prime macchine da inscatolamento erano nate in quello stato americano).
Giannino
finisce la vita lavorativa dirigente d’azienda: per diversi
anni, gestisce un consorzio agrario. Ormai tranquillo
pensionato, si orienta una barchetta e va pescare
duì
pescetti pe’ mangiò.
Una mattina
d’agosto, approfitta del tempo buono per avventurarsi un pò
oltre l’Isola Piana. Esce di casa all’alba. Il canotto si
dirige quasi da solo verso il punto prescelto. La pesca non è
stata abbondante, anche perché è scesa una fitta nebbia. In
più, un piccolo inconveniente: la rete si è impigliata
nell’elica del motore.
Giannino si
dedica sbrogliare la rete; e non si accorge che, nel
frattempo, il canotto comincia a scarrocciare lentamente verso
Portoscuso. Ricuperata la rete, il marinaio solitario mette in
moto e si avvia verso la riva, che gli sembra stranamente
vicina. Solo che il canotto scivola in direzione opposta.
A
mezzogiorno, sorella e moglie, non vedendolo arrivare, si
disperano. In breve la notizia corre per le strade:
u
Giannino u s’è persu in tu friu.
Col
traghetto arriva Tugnin Bossu (Antonio Capriata) proveniente
da Portoscuso, dove ha incontrato Giannino sul molo. Si reca
subito a casa del mancato naufrago e dice:
- U Giannino…
- U l’è finiu
‘n mộo?
– interviene Fanny tutta esagitata.
- Onnù! U l’è
finiu straccuàu a Portuscûsu
U neu du
Melica, che non si era perduto in Africa, poteva mai perdersi
in tu friu?
Appoggia il puntatore del mouse sulla parola o frase in
dialetto per visualizzarne la traduzione in italiano

|