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Carloforte, un lembo di terra ligure trapiantato in Sardegna

 

 

Chiunque abbia occasione di soggiornare a Carloforte rimane sorpreso da tre elementi caratteristici: uno di natura urbanistica, rappresentato dalla tipologia architettonica che richiama nettamente l'impianto ligure; il secondo, di carattere linguistico, dato dalla parlata genovese di stampo “antico” pegliese; l'ultimo, di aspetto gastronomico, ritratto nell'ottima cucina, frutto d' incontro di gusti liguri con i forti sapori arabi, in una sintesi inimitabile di profumi, genuinità e semplicità.

 

Tutto ciò affonda le proprie ragioni nella notte dei tempi e nella interdipendenza dei popoli che hanno comunicato, che si sono scontrati, che hanno convissuto tra le due sponde del “mare nostrum”.

  

Tutto inizia nel 1535 quando la nobile famiglia dei Lomellini, allora signori di Pegli, ottiene dal Rais Salali di Tunisi la concessione delle peschiere di corallo dell' Isola di Tabarca, attualmente trasformatasi in penisola, a poche centinaia di metri dalla costa settentrionale della Tunisia, in prossimità del confine con l'Algeria, lunga meno di un chilometro e larga cinquecento metri.

 

 La vita non è facile in un'isola che è confine tra due Mondi, due Religioni, due Civiltà; tuttavia la Comunità pegliese che vi si trasferisce cresce e prospera conservando la propria identità ed al tempo stesso integrando nuove esperienze e conoscenze. Nel 1541 i tabarchini sono circa 1.000.

Lo sviluppo della pesca e del commercio del corallo procura enormi guadagni alla famiglia Lomellini, che in parte li utilizza per le proprie ville e i propri palazzi in città e per la ricostruzione della grande chiesa dell'Annunziata a Genova.

 

Poi, agli inizi del XVIII secolo, le disagiate condizioni socio-economiche e le sempre più frequenti vessazioni dei pirati barbareschi convincono i tabarchini a cercare un luogo più adatto alle mutate aspettative di vita; nasce l'idea, grazie anche all'invito di re Carlo Emanuele III di Savoia, di colonizzare, sulle coste sarde, l'isola di San Pietro (chiamata Enosim dai Fenici, Accipitrum Insula dai Romani e battezzata Hieracon Nésos dall'astronomo greco Tolomeo, cioè Isola degli Sparvieri). Il disegno faceva parte di una più vasta operazione voluta dal re di Sardegna e risalente al 1736, tendente al ripopolamento di tutte le terre disabitate del regno.

 

Fu così che nel 1737 venne stipulato l'atto di infeudazione di San Pietro e nel 1738 giunsero da Tabarca i primi coloni e presero il via i lavori di costruzione di quello che è tuttora il principale nucleo abitativo dell'isola, chiamato Carloforte in onore del sovrano sabaudo. Le mura furono tra i primi edifici ad essere costruiti per difesa contro le incursioni barbariche, e, in breve tempo la popolazione cominciò a prosperare. Alla raccolta del corallo si aggiunsero la pesca del tonno, la raccolta del sale, l'agricoltura e l'artigianato: i maestri d'ascia di Carloforte erano conosciuti anche oltre il Mediterraneo, tanto da essere considerati i migliori dall'ammiraglio Nelson.

 

L'economia ebbe tale sviluppo che il 3 settembre 1798 l'Isola di S. Pietro e Carloforte furono attaccate dai barbareschi che condussero schiavi in Tunisia 933 carolini: questi ultimi, dopo cinque anni di prigionia, saranno poi riscattati da Vittorio Emanuele I Re di Sardegna. Fu quella l'ultima drammatica vicenda “internazionale” dei pegliesi-tabarchini che da allora prosperarono sino a raggiungere nel 1830 i 3.000 abitanti e a superare, nel 1930, quota 8.000.

 

La fiorente comunità e la disponibilità verso i forestieri attirarono un folto gruppo di immigrati, in maggioranza famiglie provenienti dalla Liguria (anche da Rapallo e da Santa Margherita), dalla Campania (in particolare dal napoletano: Napoli, Torre del Greco, Ischia) e dall'isola di Ponza.

Nel periodo 1865-90 giunsero anche toscani, siciliani, piemontesi, emiliani, calabresi, corsi, greci, savoiardi, svizzeri e slavi: sempre però si conservarono e si propagarono il dialetto, le tradizioni, i costumi e l'urbanistica originali liguri.

 

Resta tra l'altro la tradizione culinaria: nei primi piatti la pasta fatta in casa, cassulli cu pestu, maccaruin e curzetti; nei secondi il pesce con la cassolla, i piatti di crostacei e quelli a base di tonno: gurezi, tonnina e musciamme.

Ricordo di abitudini semplici e antiche sono i piatti unici come la capponata, gallette marinare condite con pomodoro, olio e profumato basilico e la farinata di ceci che, come a Carloforte, si gusta solamente in certi forni di Savona e Genova.

 

L'influsso arabo nel cibo si ritrova nel cashcà, differente dal cuscus tunisino per il condimento fatto di sole verdure.

Sono sicuramente da gustare i dolci caratteristici: cavagnetti, canestrelli, giggeri e panetti di fichi.

Arte e segreti della cucina carlofortina sono diventati di un livello talmente elevato da giustificare il fatto che il primo cuoco sardo invitato al prestigioso concorso internazionale di cucina “Paul Bocuse” è stato, a Lyon il 28 e 29 gennaio 2003, un carlofortino-tabarchino.

 

Queste lunghe ed avvincenti vicissitudini hanno comportato una particolarissima integrazione tra le diverse culture che i pegliesi-tabarchini hanno conosciuto; passeggiando infatti nei carruggi di Carloforte si ha la netta sensazione di una genovesità urbanistica assai meglio conservata che nella stessa Liguria; assistendo alle attività della tonnara si ascoltano tipiche invocazioni indubitabilmente genovesi che vengono pronunciate dai tonnarotti in risposta alle sollecitazioni del capo tonnarotto chiamato ... Rais (termine questo altrettanto indubitabilmente arabo).

 

 

Tabarca (Tunisia) - Le nubi si addensano sulla costa della penisola, un tempo isola,
su cui sorge il castello genovese
Veduta del porto di Pegli (sec. XVI) da cui partì un gruppo di pescatori
alla volta di Tabarca
Corallari tabarchini alla fine del 1700

 

Immagini prelevate da "CARLOFORTE - La città e la storia" di Giuseppe Aste e Rosa Cambiaggio,

da "CARLOFORTE, isola di San Pietro" di Antonio Torchia e dalla rivista mensile NATIONAL GEOGRAPHIC (07-2008)

Tavole prelevate da "CARLOFORTE, storia di una colonizzazione (1738-1816)" di Giuseppe Vallebona

 

 

 

 

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