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Gente di caruggi -
Cibiottu
(Battista Baghino)
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C’è un libro intitolato
“L’uomo chiamato giovedì”. Se si dovesse scrivere una biografia di Cibiottu,
si potrebbe intitolare “L’uomo chiamato domenica”. Per ché la domenica non si
lavora. Perciò egli desiderava cambiare il calendario e mettere sette
domeniche alla settimana. Cibiottu con il lavoro non parlava proprio: gli
aveva dichiarato lotta continua.
Battista
Baghino non aveva faticato molto neppure a trovarsi un nome
d’arte: la madre era detta
Cibi; il figlio
Cibiottu.
E basta.
La sua
teoria fondamentale era: ogni bambino, appena nato, deve
essere iscritto all’INPS, che deve provvedere a pagare la
pensione al neonato, con decorrenza dal giorno, ora e minuti
dalla nascita. Così nessuno, crescendo, cerca lavoro; e il
governo risolve il problema dell’occupazione giovanile.
Sarebbe la migliore previdenza sociale in un Paese di
disoccupati come l’Italia.
Cibiottu,
come economista non avrebbe fatto molta strada. Ma era noto a
tutti proprio per questa sua originale teoria
sull’occupazione.
Lo potevi
trovare in piazza (e dove doveva andare?), sempre freddoloso.
A chi gli diceva:
“Nu ti n’è côdu?” perché portava i mutandoni anche d’estate, rispondeva.
“U saiò côdu quande
Pittaneddu u l’aniò d-a Maria Antugnetta d’Estea pe ‘n gottu
d’egua”.
Perché
Cibiottu lavorava a fare il disoccupato per professione?
Perché una volta, a onor del vero, era andato a lavorare in
tonnara. Ma fu l’esperienza più drammatica, che gli lasciò un
incubo per tutto il resto della vita.
Ecco come
sono andati i fatti: reclutato nella ciurma di terra, il
nostro amico entra fra i tonnarotti di Portopaglia, a La
Punta. La sua specializzazione professionale erano i lavori da
manovale generico. Per tutto il giorno Cibiottu sgambetta da
un punto all’altro dello stabilimento, ora portando una
cuffa, ora riavvolgendo una matassa di funicella di
canapa. Proprio quest’ultima operazione gli fa balenare
un’idea: portarsi a casa un pò di questa fune, che può sempre
servire (e poi, ogni bravo tonnarotto
arrumeddia
qualcosa).
Ma, come
eludere la sorveglianza? Trovata l’idea: prima di rientrare a
casa a fine giornata, Cibiottu va in bagno e si cinge la
funicella intorno alla vita, dalla cintola in su, con le spire
ben aderenti, come un trasformatore di corrente. La fune è
ruvida e punge. Ma il neotonnarotto sopporta stoicamente, come
si conviene a un lavoratore del mare.
Copre tutto
con la camicia e si avvia verso la barca. Che è già in
partenza e aspetta lui solo. Cibiottu si precipita
all’imbarco. Un pò per la fretta, un pò per l’improvvisa
corazza, mette il piede in fallo e cade in acqua.
Quando lo
tirano su, i compagni ridono a crepapelle. Cibiottu, invece,
invoca aiuto:
“Aggiüteme! Che m’assuffaccu”. Quelli
pensano che sia una delle sue trovate; e ridono ancora di più.
Il mancato
naufrago ha poca voglia di ridere, perché, a contatto con
l’acqua, la fune di canapa si è irrigidita e le spire gli si
stringono sempre più intorno alla vita. Cibiottu apre la
camicia, facendo saltare tutti i bottoni. Alla scena,
uno dei tonnarotti estrae un coltello a serramanico e taglia
la fune, come se incidesse un tonno per estrarre le uova.
Con qualche
variante, fu questa la carriera occupazionale di Cibiottu.
Ecco perché, il solo pensiero del lavoro gli procurava i
brividi. Non aveva tutti i torti.
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