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I bombardamenti a Carloforte nella

 II° Guerra Mondiale

(parte I°)  -  (di Lino Borghero)

 

 

 

  

Alla fine del 1942 si verificarono gli eventi che cambiarono le sorti della guerra. I russi, con enormi sacrifici e grazie anche al continuo afflusso di rifornimenti degli Alleati, bloccarono l’avanzata tedesca a Stalingrado.

In Africa, dopo un estremo tentativo di Rommel a fine agosto, gli inglesi avevano scatenato il 30 ottobre la battaglia di El Alamein che, dopo sei giorni di accaniti combattimenti col sacrificio delle divisioni Folgore, Ariete e Trieste, aprì la strada all’VIII Armata britannica per la conquista della Libia.

Ma il fatto più grave per noi fu lo sbarco dell’8 novembre degli americani a Casablanca, Orano e Algeri: in questa situazione tutte le nostre città entravano nel raggio d’azione dei bombardieri statunitensi.

 

L’11 febbraio partimmo per Carloforte, condividendo come sfollati con parenti ed amici il restante periodo della guerra.

Domenica 4 aprile 1943, con cielo azzurro e limpido, Carloforte subì il primo bombardamento aereo. La gente in gran parte era rientrata nelle case a pranzo, alcuni si attardavano sul lungomare, altri, passeggiando attendevano al porto l’arrivo del mezzo da Calasetta.

Erano le 13 quando sei bimotori americani giunsero sul paese da nord e iniziarono a sganciare le bombe dalla cinta delle mura nella zona della capitaneria, sulle case delle Casinee, sul lungomare, sul porto.

Noi eravamo a tavola: il rombo degli aerei e le esplosioni dopo i lunghi anni di guerra vissuti a Cagliari non ci impressionarono, ma la paura e l’angoscia erano visibili nella gente che presto si riversò nelle strade. Circolavano i nomi delle vittime e dei feriti. I poveri corpi raccolti sul lungomare vennero portati nel Palazzo: tra essi un ragazzo di undici anni: Maurizio Marongiu.

 

Antonio Luxoro, che aveva allora 15 anni, lavorava nel forno di Bruno: nonostante fosse giorno di festa, panificavano per i militari. Sentendo il rombo degli aerei si affacciò e uscì in strada. Le bombe caddero vicino e lui si ritrovò sotto le macerie, da cui venne estratto dopo circa un’ora. Ricorda ancora la voce di Gigin Cipollina che chiedeva aiuto, ferito alla testa. Si udivano le grida disperate della signora Vallebona il cui marito Giovanni di anni 48 era stato ferito a morte mentre erano a tavola.

Poco dopo, nell’ambulatorio comunale che occupava il luogo dove oggi sorge l’albergo Riviera, venivano accompagnati i feriti; in quel nefasto giorno morirono altre 8 persone. Ricordo che la sera stessa tutti lasciammo il paese per le case di campagna, in lunghe file, con ogni genere di masserizie, coperte, utensili, viveri, gli asinelli (allora molti li avevano) con le ceste stracolme. Noi ragazzi, abituati alla compagnia dei coetanei, ci trovammo isolati e sparsi nelle case lontane e distanti fra loro. In quel periodo fummo testimoni delle vicende successive.

 

Il 22 aprile, Giovedì Santo, accompagnavo mia madre in visita ai nonni a Calalunga. Il cielo era azzurro e senza nuvole. Erano le 15.15. Improvvisamente si sentì il rombo degli aerei che volavano a bassa quota. Noi, nascosti fra i cespugli lungo la strada, li vedevamo dall’alto. Questa volta venivano da sud, e le bombe vennero sganciate lungo il mare dallo Spalmadoreddu sul porto.

Colonne di acqua e di terra si levavano alte in progressione verso la Capitaneria, l’officina, sino alla Piana, al Canalfondo. L’attacco era stato effettuato da diciotto B-26 Martin Marauders (Predoni), i famosi bimotori americani.

Dopo la fine del conflitto si seppe che costituivano il nuovo Bomb Group 320° alla prima missione di guerra. Gli aerei americani sganciarono in quella occasione 2160 spezzoni che causarono l’affondamento di numerose imbarcazioni i cui resti rimasero disseminati nel porto: si trattava di un motoveliero e dieci bilancelle; tre furono i morti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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