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La statua a Carlo Emanuele III

 

  

L’esuberanza festosa dei Carlofortini nel riconoscere il favore ricevuto dal Re Carlo Emanuele III non doveva tardare a rendersi manifesta.

Quando partì l’iniziativa di erigere una statua al Re che aveva consentito il trasferimento nella nuova sede, si diede incarico al Conte Giovanni Porcile di trovare lo scultore per realizzarla come da progetto nella sua struttura attuale, ma l’eccessivo costo non lo consentì ed allora si pensò di realizzare la sola statua del Re che sarebbe costata L. 2000 sarde. Lo scultore che accettò l’incarico fu il genovese Bernardo Mantero.

 

Grande fu la partecipazione della popolazione a contribuire per sostenere le spese; ci fu addirittura una gara nell’offerta dei gioielli (i pochi che avevano) da parte delle donne, e monete e promessa di lavoro da parte degli uomini. Anche il Viceré Lascary partecipò all’iniziativa con 200 scudi d’oro.

Il 16 luglio 1786 la statua veniva eretta con grandi festeggiamenti che durarono tre giorni. Si cantò il «Te Deum» in chiesa; dopo di che i soldati del distaccamento che si trovavano sul sagrato spararono tre scariche consecutive. L’artiglieria del Forte rispose con 12 colpi di cannone che furono seguiti dai colpi di cannone dei bastimenti all’ancora in porto.

Indi fu celebrata la Santa Messa solenne. Nella giornata s’innalzò l’albero della cuccagna con ricchi premi e fu distribuito ai poveri pane e vino in quantità. La sera furono accesi falò in piazza e si festeggiò l’avvenimento con entusiasmo e gioia indescrivibili. La giornata finì col ballo.

Nel 1788, Don Alberto Genovese, figlio di Don Bernardino (primo Duca di san Pietro), si assunse l’onere di completare il gruppo come da progetto e provvide alla posa dei due epigrafi. Accanto al Re, in costume romano secondo l'uso del tempo, furono aggiunte le statue di uno schiavo turco e una schiava cristiana.

 

Nel 1793 per motivi internazionali ci fu la rottura dei rapporti diplomatici tra la Francia e il Piemonte, per cui Carloforte stava per essere invasa dalle truppe francesi. In quell'occasione, i carlofortini la misero al sicuro dalla furia degli invasori, che certo non avrebbero risparmiato una così evidente manifestazione del potere regale. L'isola, in quel periodo, fu ribattezzata "Isola della Libertà" e, al posto della statua, fu piantato l'albero della libertà. Prima dell'occupazione si pensò allora di interrare la statua per occultarla al nemico. Nella fretta un braccio rimase fuori e la mancanza di tempo per rimuoverla ed approfondire la buca consigliò la rottura del braccio. Quando riprese il suo posto rimase monca.

 

Nel corso degli anni, onde proteggere la statua da possibili interventi di facinorosi e dare sistemazione decorosa, sono state adottate diverse soluzioni, ma quella di maggior rilievo innovativo è stata realizzata nel 1914 con l’istituzione di una robusta ringhiera di recinzione ad altezza uomo, collocando ai quattro angoli i lampioni per illuminarla (ha preceduto nel tempo la soluzione attuale).

 

La familiarità e l'attaccamento dei carlofortini a questo monumento è dimostrata dall'attribuzione alla statua del soprannome Pittaneddu, in riferimento ad un personaggio di origine sarde, anch'esso privo di un braccio.

 

 

 

 

 

Testi estratti da "DA TABARKA A S. PIETRO - Nasce Carloforte" di Giorgio Ferraro

e da "CARLOFORTE E L'ISOLA DI SAN PIETRO - Il Mediterraneo in miniatura" di 'Autori vari '

Ultima immagine prelevata da "CARLOFORTE - La città e la storia" di G. Aste e R. Cambiaggio

 

 

 

 

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